Il desiderio e l’urgenza di avere i Salesiani a Cagliari risale al 1879. Furono gli arcivescovi della città, monsignor Balma e poi monsignor Berchialla, a chiedere con insistenza a don Bosco, come già detto, la fondazione dell’Opera salesiana nel capoluogo sardo, presentandogli il problema della gioventù “abbandonata”. Nell’aprile del 1898 don Luigi Rocca e don Tommaso Pentore, dopo il sopralluogo a Lanusei per trattare di persona la fondazione del collegio, si recarono a Cagliari “dove ebbero festose accoglienze da un gruppo di una ventina di antichi alunni del collegio di Alassio e li attendeva il rev.mo don Uras, rappresentante monsignor arcivescovo, che nella sua squisita cortesia mandava la sua carrozza per condurli in episcopio, dove con affetto tutto paterno accolse i figli di Don Bosco e offrì¡ loro generosa ospitalità. “In Cagliari la conferenza, che si tenne in S. Giuseppe Calasanzio, fu presieduta da mons. arcivescovo ed onorata dalla presenza dell’intero Capitolo della cattedrale. Un numero stragrande di popolo riempiva le vaste navate della chiesa”.
Nella conferenza don Pentore disse: “Fra tutte le regioni d’Italia la sola Sardegna non ha un Istituto Salesiano. Ebbene, le aspirazioni di tanti cattolici ben presto saranno appagate ed il primo Collegio Salesiano sorgerà nella simpatica cittadina di Lanusei nel prossimo settembre. Ed anche Cagliari fra non molto avrà il suo Ospizio Salesiano, superata qualche piccola difficoltà che ora vi si frappone”. Infatti neppure le richieste di mons. Paolo Maria Sercí, arcivescovo di Cagliari, ebbero esito favorevole, perché “scarseggiava il personale salesiano ed urgevano altre opere in continente, già prenotate e promesse da anni”, e perciò, da Torino i superiori continuavano a rispondere, come aveva già detto don Bosco, di attendere con fiducia. “I buoni Cooperatori Salesiani di Cagliari non disarmarono e continuarono a pregare il Signore e la Vergine Ausiliatrice. Erano essi numerosissimi, ma non avevano un assistente ecclesiastico che ne curasse l’organizzazione e lo sviluppo delle varie attività”, e perciò don Rocca e don Pentore proposero a mons. Serci di scegliere un giovane sacerdote che si assumesse l’incarico di direttore diocesano dei cooperatori. Fu scelto don Mario Píu, allora neo sacerdote, che si adoperò per radunare i numerosi cooperatori e cooperatrici (circa 500), che, da lui guidati, crebbero ancora di numero. I mezzi di formazione erano le riunioni, le feste e le conferenze: in breve tempo, per tali iniziative, particolare solennità fu data alle feste di S. Francesco di Sales e di Maria Ausiliatrice, che divenne tra le più rinomate a Cagliari. Puntualmente don Piu inviava al “Bollettino Salesiano” relazioni delle attività che promuoveva tra i cooperatori. Tali iniziative, nell’arco di pochi anni, riuscirono a “sensibilizzare i cooperatori, i devoti e poi la cittadinanza tutta sulla necessità di andare incontro ai bisogni della gioventù abbandonata della città, dando l’opera loro (preghiere, obolo, iniziative) per la realizzazione di un Oratorio festivo da affidare ai Salesiani di Don Bosco”.
Nel giugno 1902, dopo l’inaugurazione del collegio di Lanusei, sostò a Cagliari il primo successore di don Bosco, don Rua, “fatto segno alle più cordiali manifestazioni di stima e venerazione da parte dell’arcivescovo, mons. Pietro Balestra, che lo volle ospite in seminario, del Capitolo al completo e dei fedeli numerosissimi.
Il giorno 18 celebrò all’altare della Vergine Ausiliatrice nella chiesa di S. Antonio Abate gremitissima. Più tardi vi tenne una conferenza ascoltatissima e nel pomeriggio una ai seminaristi nel seminario. Visitò pure il santuario della Vergine di Bonaria, parlò ai fedeli e diede la benedizione col Santissimo. A sera tardi nell’aula teologale del seminario si tenne una acclamatissima accademia musico-letteraria in onore dell’illustre ospite. Facevano corona al festeggiato l’arcivescovo, il sindaco prof. Piccinelli, il provveditore cav. Pili, il prof. Gaetano Desogus… e moltissime personalità”. “La visita di don Rua sollevò grande entusiasmo e fece aumentare la speranza che presto anche Cagliari avrebbe avuto un’Opera di don Bosco”.
Il 4 novembre 1912 giunse a Cagliari don Carlo Rogora come iniziatore dell’Oratorio e per sollecitare il compimento dei lavori: nell’edificio infatti non c’erano ancora ambienti rifiniti e neppure il cortile era in condizioni di poter accogliere i ragazzi. Don Rogora perciò si adattò a dormire nel villino Fadda ed a mangiare in trattoria, ospitato spesso anche da don Piu, al quale dava il suo aiuto nel ministero della parrocchia. In una lettera circolare ai suoi concittadini don Piu annunziò l’inizio dell’Opera salesiana e raccomandò, in particolare ai cooperatori, di aiutare i Salesiani in tutti i modi: questi infatti venivano a Cagliari, ” … perché pressati dalle tante insistenze, ma… senza poter fare assegnamento su qualche sicuro mezzo di sussistenza, … perché per loro uso erano pronte solo alcune stanzette ed una modesta cappella. Don Piu mise in evidenza come l’attività dei Salesiani a Cagliari era strettamente legata alla collaborazione dei cooperatori: ” … Solo col vostro aiuto, o benemeriti cooperatori, potranno i Salesiani dar prova anche in Cagliari del loro zelo mirabile per la salvezza della gioventù”.
L’attività salesiana vera e propria cominciò un anno dopo, quando il 13 ottobre 1913 giunsero a Cagliari don Matteo Ottonello come direttore e don Giuseppe Roncagliolo come maestro di terza elementare. Alla fine del mese si aggiunsero il chierico Francesco Fazi come maestro di quarta elementare, il coadiutore Domenico Zanchetta e don Pietro Chevrel, parigino, con l’incarico d’insegnare musica e canto. L’edificio però non era ancora in grado di alloggiarli, perché ” … non era fatto che per un terzo, secondo il disegno…. e, tranne la cappella che era intonacata e una stanzetta al secondo piano, non aveva che i puri muri senza intonaco … “. Mancava anche la cucina e i Salesiani dovettero adattarsi a prendere i pasti in un ristorante, poco distante dall’istituto. Scrive uno dei primissimi alunni del collegio ” … al termine delle lezioni … si lasciava il collegio con i quattro o cinque Superiori e per la discesa del viale si raggiungeva la via Porto Scalas in fondo alla quale, e cioè in una delle prime case del corso Vittorio Emanuele, c’era la trattoria “Toscana”. Tutti seduti allo stesso tavolo, in una sala interna, superiori ed alunni…, si consumava il pranzo”.
L’arredamento di parte della casa fu opera della benevolenza dei cagliaritani, come ricorda bene il prof. Bandino, che visse in quel periodo nell’istituto. “La casa mancava completamente di mobili, di letti, di sedie, di qualsiasi arredamento, ma un po” per volta le buone signore dell’alta aristocrazia cagliaritana, tra le quali la contessa donna Maria Serra, la baronessa Amat, la n.d. Annetta Carboni, la n.d. N’orina Piloni e diverse altre, da Dio ispirate incominciarono a provvedere il nascente istituto di parte dei mobili delle loro stesse case e così presto avemmo tavoli, tavolini, letti, sedie, armadi, quadri ed altro.
“La Provvidenza dispose pure in quei giorni che al palazzo della Provincia si dovessero mettere a nuovo gli arredamenti del gran salone dei ricevimenti ed allora, per interessamento del prof. Amerigo Imeroni, docente all’università e assessore comunale, vennero regalati ai salesiani bellissimi tendoni di velluto rosso per finestre e porte, un superbo divano con seggiolini e sedie pure in velluto rosso, un magnifico lampadario per centro salone ed altri mobili ed oggetti di valore che andarono a rifornire il nostro parlatorio da poco rifinito. “Nello stesso tempo si venne a conoscere che alla chiesa di Sant’Agostino, in Stampace, allora trasformata dal municipio in magazzino per vecchi mobili ed oggetti fuori uso, si trovavano molti banchi scolastici, cattedre, lavagne, predelle ecc. dichiarate fuori uso… “Sempre con l’interessamento del prof. Imeroni, del prof. Val entino Martelli, insegnante di matematica al ginnasio “Dettori”, e del dott. Aurelio Espis, vice segretario al comune, si ottenne che noi salesiani potessimo a nostra piena libertà scegliere e prendere tutti quegli oggetti e mobili che avessimo giudicati a noi necessari, per cui il nostro istituto fu d’un tratto, alla bella meglio, rifornito di una numerosa attrezzatura scolastica che c’era costata la sola spesa del trasporto”.
“Alle 16 30 giunse Sua Eminenza il Card. Maffi accolto da caldi applausi, accompagnato dalle loro Eccellenze Rev.me Mons. Pietro Balestra arcivescovo di Cagliari, Mons. Ingheo, arcivescovo titolare di Anazarba, Mons. Tolu arcivescovo di Oristano, Mons. Canepa vescovo di Galtellì-Nuoro, Mons. Piovella vescovo di Alghero e Mons. Vinati vescovo di Bosa. “Sua Eminenza, insieme coi prelati, sale sul palco, dopo aver stentato alquanto a scindere la folla che gli si assiepava intorno per baciargli l’anello e riceverne la benedizione. È impossibile enumerare tutte le illustri e benemerite persone convenute alla cerimonia. Accanto a Sua Eminenza e le loro eccellenze prendono posto i rev.mi Mons. del Duomo, i membri del Comitato per le feste di Bonaria e i vessilli del Circolo San Saturnino, dell’Operaia Cattolica, della Sant’Ambrogio, della San Giovanni, dei Luigini e dei Figli di Maria. “Come l’E.mo ebbe apposta la firma alla pergamena ed ebbero pur firmato gli Arcivescovi e i Vescovi presenti unicamente al Decano della Metropolitana Mons. Serra, al Vicario Generale Mons. Miglior e al Dott. Mario Piu, il prof. Congiu L’ostia disse, applauditissimo, il discorso di circostanza. Sua Eminenza indossò quindi gli abiti pontificali e procedette alla benedizione della Ia pietra. Il masso discese lentamente fra gli applausi scroscianti, mentre il Cardinale ne seguiva con lo sguardo la discesa verso lo spianato e tracciava con la destra un segno di croce.
“La pergamena, che fu racchiusa nel masso con una medaglia in argento raffigurante il Sommo Pontefice, una medaglia con la effigie della Vergine di Bonaria e di Sant’Efisio, una medaglia di Maria Ausiliatrice, una moneta da due lire dell’ultimo conio e qualche altra medaglia, era disegno del bravo giovane Carlo Pintor e recava queste parole dettate da Mons. Serra:”In nomine Domini. Amen. L’anno del Signore 1908 al 29 aprile regnando nella cattedra di San Pietro Pio Papa X; essendo arcivescovo di questa città Fr. Pietro Balestra dei M.C. di San Francesco; Superiore dei Salesiani D. Michele Rua; Sua Em. Rev.ma Pietro Maffi Cardinale di Santa Romana Chiesa, Arcivescovo di Pisa, Primate di Corsica e Sardegna, inviato da S.S. Pio X per prendere parte alle solennissime feste in onore della Vergine Incoronata di Bonaria, proclamata Patrona Massima della Sardegna dal Romano Pontefice con decreto della Sacra Congregazione dei Riti del 13 settembre 1907, solennemente benedì e pose la prima pietra del qui erigendo Oratorio Salesiano”. “Compiuta la cerimonia, un giovanotto dell’Oratorio umiliò all’E.mo Arcivescovo di Pisa un ricchissimo mazzo di fiori pronunziando alcune gentili parole. Parlò quindi lo zelantissimo teol. D. Mario Piu, che sciolse un inno di caldo entusiasmo al Ven. Fondatore degli Oratori; e a lui tenne dietro il Sig. Conte Sanjust, interrotto e salutato da applausi. In ultimo si avanza sul limitare del palco il Card. Pietro Maffi e la sua parola buona scende dolcemente nei cuori. “In una sintesi mirabile, – scrive l’ottimo “Corriere dell’Isola” del 30 aprile 1908, – Sua Eminenza abbraccia tutte le istituzioni salesiane e dice della loro bontà, della loro opera rinnovatrice e santa, istituzioni fondate dal Venerabile D. Giovanni Bosco “orfanorum pater”. Con un’imponente ovazione all’Em.mo Porporato ebbe termine la solenne cerimonia”. Dopo la posa della prima pietra, i lavori proseguirono alacremente sotto la direzione gratuita degli ingegneri D. Francesco Floris Thorel, Riccardo Simonetti, Onnis e Mura.
In una relazione del “Bollettino Salesiano” si legge infatti: “chiunque passi per la via degli Ospizi può constatare con quale alacrità si compiano i lavori dell’erigendo Oratorio Salesiano e come il fabbricato sia già a buona altezza”. Si sperava infatti di concludere entro il mese di novembre la prima parte della costruzione (cioè quattro piani per una lunghezza di 21 metri, una larghezza di 15,50 metri e un’altezza di oltre 18 metri) e, come continuava il “Bollettino Salesiano”, “ciò sarà possibile ove non manchi il concorso dei capitali necessari”. Il “Corriere dell’Isola” apri quindi una sottoscrizione e nel solo primo elenco figuravano 2000 lire. Intanto don Piu continuava a raccogliere soldi tramite conferenze, accademie, concerti, lotterie e feste varie, e, d’accordo con i superiori salesiani di Torino e di Roma, con prudenza e insieme con coraggio e intraprendenza seguì i lavori di costruzione ” … tra le ansie e le speranze, tra le gioie e le disillusioni a seconda dell’affluenza delle offerte o della assoluta mancanza delle elemosine”. Anche le autorità cittadine si interessarono presso don Piu della casa che si voleva affidare ai Salesiani: il regio subeconomo della città, in particolare, gli chiese delle informazioni a cui don Piu rispose: ” … il movente che fece nascere in molti questo desiderio (dei salesiani a Cagliari) è lo stato di deplorevole abbandono nel quale si trova un gran numero di figli del popolo, i quali, coltivati a tempo e ben educati, potrebbero crescere onesti e utili alla società, anziché andare a popolare le carceri. Lo scopo principale, in una parola, è il bene della gioventù, ma specialmente dei poveri. A loro vantaggio si apriranno scuole gratuite e un ricreatorio”. Gli comunicò poi che la cittadinanza aveva prestato “il suo appoggio materiale e morale” e che vi erano state numerose ” … insistenze e premure da parte di molti padri di famiglia, impiegati e professori, ma specialmente di tante povere madri”.
Nel settembre 1910 don Píu aveva già speso per il terreno e per una parte del fabbricato 35.000 lire ed al giugno 1911 60.000 lire, raggranellate con piccole offerte.
Il 4 novembre 1912 giunse a Cagliari don Carlo Rogora come iniziatore dell’Oratorio e per sollecitare il compimento dei lavori: nell’edificio infatti non c’erano ancora ambienti rifiniti e neppure il cortile era in condizioni di poter accogliere i ragazzi. Don Rogora perciò si adattò a dormire nel villino Fadda ed a mangiare in trattoria, ospitato spesso anche da don Piu, al quale dava il suo aiuto nel ministero della parrocchia. In una lettera circolare ai suoi concittadini don Piu annunziò l’inizio dell’Opera salesiana e raccomandò, in particolare ai cooperatori, di aiutare i Salesiani in tutti i modi: questi infatti venivano a Cagliari, ” … perché pressati dalle tante insistenze, ma… senza poter fare assegnamento su qualche sicuro mezzo di sussistenza, … perché per loro uso erano pronte solo alcune stanzette ed una modesta cappella. Don Piu mise in evidenza come l’attività dei Salesiani a Cagliari era strettamente legata alla collaborazione dei cooperatori: ” … Solo col vostro aiuto, o benemeriti cooperatori, potranno i Salesiani dar prova anche in Cagliari del loro zelo mirabile per la salvezza della gioventù”.
L’attività salesiana vera e propria cominciò un anno dopo, quando il 13 ottobre 1913 giunsero a Cagliari don Matteo Ottonello come direttore e don Giuseppe Roncagliolo come maestro di terza elementare. Alla fine del mese si aggiunsero il chierico Francesco Fazi come maestro di quarta elementare, il coadiutore Domenico Zanchetta e don Pietro Chevrel, parigino, con l’incarico d’insegnare musica e canto. L’edificio però non era ancora in grado di alloggiarli, perché ” … non era fatto che per un terzo, secondo il disegno…. e, tranne la cappella che era intonacata e una stanzetta al secondo piano, non aveva che i puri muri senza intonaco … “. Mancava anche la cucina e i Salesiani dovettero adattarsi a prendere i pasti in un ristorante, poco distante dall’istituto. Scrive uno dei primissimi alunni del collegio ” … al termine delle lezioni … si lasciava il collegio con i quattro o cinque Superiori e per la discesa del viale si raggiungeva la via Porto Scalas in fondo alla quale, e cioè in una delle prime case del corso Vittorio Emanuele, c’era la trattoria “Toscana”. Tutti seduti allo stesso tavolo, in una sala interna, superiori ed alunni…, si consumava il pranzo”.
L’arredamento di parte della casa fu opera della benevolenza dei cagliaritani, come ricorda bene il prof. Bandino, che visse in quel periodo nell’istituto. “La casa mancava completamente di mobili, di letti, di sedie, di qualsiasi arredamento, ma un po” per volta le buone signore dell’alta aristocrazia cagliaritana, tra le quali la contessa donna Maria Serra, la baronessa Amat, la n.d. Annetta Carboni, la n.d. N’orina Piloni e diverse altre, da Dio ispirate incominciarono a provvedere il nascente istituto di parte dei mobili delle loro stesse case e così presto avemmo tavoli, tavolini, letti, sedie, armadi, quadri ed altro.
“La Provvidenza dispose pure in quei giorni che al palazzo della Provincia si dovessero mettere a nuovo gli arredamenti del gran salone dei ricevimenti ed allora, per interessamento del prof. Amerigo Imeroni, docente all’università e assessore comunale, vennero regalati ai salesiani bellissimi tendoni di velluto rosso per finestre e porte, un superbo divano con seggiolini e sedie pure in velluto rosso, un magnifico lampadario per centro salone ed altri mobili ed oggetti di valore che andarono a rifornire il nostro parlatorio da poco rifinito. “Nello stesso tempo si venne a conoscere che alla chiesa di Sant’Agostino, in Stampace, allora trasformata dal municipio in magazzino per vecchi mobili ed oggetti fuori uso, si trovavano molti banchi scolastici, cattedre, lavagne, predelle ecc. dichiarate fuori uso… “Sempre con l’interessamento del prof. Imeroni, del prof. Val entino Martelli, insegnante di matematica al ginnasio “Dettori”, e del dott. Aurelio Espis, vice segretario al comune, si ottenne che noi salesiani potessimo a nostra piena libertà scegliere e prendere tutti quegli oggetti e mobili che avessimo giudicati a noi necessari, per cui il nostro istituto fu d’un tratto, alla bella meglio, rifornito di una numerosa attrezzatura scolastica che c’era costata la sola spesa del trasporto”.
Il direttore, don Matteo Ottonello, il 15 ottobre 1913, due giorni dopo il suo arrivo a Cagliari, con una lettera alla cittadinanza annunciò l’inizio delle attività che i Salesiani intendevano svolgere:i corsi di III e IV elementare, retti da maestri patentati e con l’approvazione dell’autorità scolastica…, un doposcuola per gli alunni delle scuole elementari e tecniche e ginnasiali inferiori. Si offrì inoltre la possibilità di “avere lezioni di lingua latina, greca e francese… e lezioni di pianoforte”. La tassa per la scuola elementare era di 5 lire mensili, per il doposcuola di 7 lire e, per quelli che frequentavano scuola e doposcuola 10 lire. “Le lezioni incominciarono e proseguirono con un crescendo sempre più numeroso di alunni”. A Cagliari infatti, numerose famiglie, anche nobili, “avevano chiesto di poter affidare ai Salesiani l’educazione dei loro figli, per cui fin dai primi giorni si incominciò a ricevere quei giovanotti a ripetizione”. Le scuole elementari erano interne, ma vennero accolti anche una quarantina di ragazzi che frequentavano scuole pubbliche: “a questi si offriva un vero doposcuola, pazienti ripetizioni… e li si accompagnava alle varie scuole”. “Primissimi furono: il contino Ignazio Serra, il barone Pietro Amat, il nob. Lucio Carboni, i visconti fratelli Manca di Villahermosa, il giovane Gungui, a cui poi si aggiunsero i fratelli Piloni, Enrico Carboni e tanti altri che al presente sono gloria e vanto della nostra popolazione per scienza, bontà e posizione civile. Nel 1914 si tentò di aprire il collegio cedendo alle dolci pressioni delle famiglie dei giovanotti, che già venivano per le ripetizioni, ed il conte Serra, Gungui, Lucio Carboni, ecc. furono i primi collegiali interni di questo Istituto”. Già dagli inizi quindi l’attività dei Salesiani fu intensa. Nel gennaio del 1914 e poi ripetutamente, nei mesi successivi, don Ottonello chiese all’ispettore l’aumento del personale, soprattutto per l’assistenza dei giovani che frequentavano le scuole pubbliche. L’opera educativa infatti tra questi giovani non era semplice e la loro condotta morale e religiosa non soddisfaceva gli educatori, i quali miravano ad avere le scuole interne che assicuravano normalmente risultati migliori. Tuttavia in un solo anno scolastico i Salesiani a Cagliari si acquistarono stima ed apprezzamenti. Don Ottonello infatti nel luglio 1914 poteva comunicare a don Conelli: “L’istituto a quanto si dice e a quanto pare acquista buon nome”. Col passare dei mesi le richieste per il collegio aumentarono: l’opera quindi sembrava rispondere alle esigenze dell’ambiente, mentre i superiori da Torino desideravano che a Cagliari ci fosse solo un Oratorio, non collegio.
Don Roncagliolo, scrivendo da Rapallo a don Ottonello il 2 luglio 1915, gli comunicò il parere dei superiori di Torino con i quali si era incontrato: “Tutti finivano con la medesima nota: l’oratorio festivo prima di ogni altra attività”. Affermava poi che tutti i superiori gli rimproveravano il fatto che a Cagliari non fosse stato dato il primo posto all’Oratorio festivo. Il Rettor Maggiore don Albera gli aveva detto: ” … fate molte cose, fuorché quello che dovete fare” e don Filippo Rinaldí allora prefetto generale della Società Salesiana: “Non ci opponiamo a tutte le altre opere, al Collegio per esempio, ma quelle cose verranno dopo; prima l’oratorio festivo”.
Ma a Cagliari la struttura stessa dell’edificio si presentava adatta per un collegio anche se ancora da rifinire: vi erano dormitori, un salone per lo studio, aule scolastiche, la cappella e il porticato per le ricreazioni. “Era chiaro che una tale fabbrica era stata innalzata per uso collegio. Tale del resto era l’intenzione di Don Piu e la mente degli oblatori per cui era sorta la fabbrica”. Il Collegio poi permetteva ai Salesiani di “dare un po’ di aiuto a Don Piu, che sempre continuava a mantenere i muratori a spese proprie”, incoraggiato dai “buoni cagliaritani”, che lo coadiuvavano “nella raccolta dei mezzi per completare la rifinitura del fabbricato e l’arredamento perché potesse raccogliere un vero e proprio internato e contemporaneamente attrezzare l’Oratorio”. Mentre l’oratorio aveva bisogno di essere aiutato e mantenuto, il collegio permetteva ai salesiani di guadagnarsi qualcosa da vivere; infatti il “misero introito delle messe dei tre sacerdoti era un ben povero capitale per cui i confratelli potessero far affidamento”. In una lettera del 17 luglio 1915 a don Rinaldi, don Ottoneflo chiarì la sua posizione: assicurò di non essere contrario all’Oratorio, ma di avere favorito il collegio per soddisfare i desideri della città e per avere la possibilità di vivere.